FAQ

Domande frequenti,
casi pratici, risposte
e consigli

Perché avere un piano aziendale di conciliabilità?
  • Per un aumento del benessere del singolo dipendente e del suo nucleo familiare;
  • Per un effetto positivo sull’organizzazione e sul clima all’interno dell’impresa
  • Per un’ottimizzazione economica e finanziaria delle risorse
  • Per un incremento del valore sociale dell’impresa
Cosa significa conciliabilità famiglia e lavoro?

La Commissione europea definisce la conciliabilità in questi termini:

“L’introduzione di azioni sistemiche che prendono in considerazione le esigenze della famiglia, di congedi parentali, di soluzioni per la cura dei bambini e degli anziani, e lo sviluppo di un contesto e di un’organizzazione lavorativa tali da agevolare la conciliazione delle responsabilità lavorative e di quelle familiari per le donne e gli uomini”.

L’equilibrio vita e lavoro (work-life balance) è un concetto recente e molto ampio. Nato negli anni ’70, si riferisce alla capacità e alla possibilità di bilanciare in modo equilibrato il lavoro e la vita privata di donne e uomini. Oggi, la vera ricchezza è il tempo e le aziende lo sanno. Come evidenziano numerose ricerche, sempre più chi si trova a cercare un lavoro attribuisce uguale importanza al work-life balance e alla componente retributiva.

C’è di più. Il bisogno di una migliore conciliabilità tra dimensione privata e professionale si impone anche in forza dei cambiamenti che investono l’offerta di forza lavoro, sempre più diversificata in termini di genere, età, formazione, e la famiglia. Siamo di fronte infatti a un mercato del lavoro sempre più popolato da madri, genitori single e coppie ‘a doppia carriera’ e cresce il numero di donne e uomini con responsabilità di cura non più solo verso i figli, ma anche verso famigliari anziani e non autosufficienti.

Il risultato è che sempre più soggetti combinano, almeno in una fase della loro vita, l’impegno professionale con responsabilità di cura e di assistenza.

Conciliabilità: solo per le donne?

Sebbene la conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa sia un’esigenza avvertita in misura maggiore dalle donne che dagli uomini, in realtà riguarda e beneficia gli uni e le altre. In altri termini, la conciliabilità va considerata una questione di famiglia, in cui uomini e donne si sentono e sono ugualmente coinvolti. Perseguire obiettivi di conciliabilità significa, infatti, favorire un’armonia nelle scelte delle coppie rispetto alle loro aspirazioni non solo come individui, ma anche come famiglia.
Se declinata solo al femminile, agendo nell’ottica di trovare unicamente soluzioni su misura per le donne, la conciliabilità rischia di essere non solo discriminatoria (andando a rafforzare la segregazione esistente nel mercato del lavoro) ma anche inefficace.
È importante dunque pensare e agire in termini di genitorialità al lavoro, sostenendo così un cambiamento culturale – che non è ancora del tutto maturato – in merito ai ruoli di genere in famiglia, nel mondo del lavoro e più in generale nella società.

Un investimento vantaggioso?

Dal punto di vista delle aziende la conciliabilità può rappresentare un driver di crescita, sia in termini reputazionali che di efficientamento dei processi lavorativi e di produttività interna.

Investire nel benessere dei propri dipendenti, nella loro qualità di vita può comportare, infatti, molteplici vantaggi, osservabili ad esempio:

  • nella riduzione dei tassi di assenteismo e di assenza per malattia, dei costi di turnover e di reclutamento;
  • nel miglioramento del clima interno, della motivazione e del commitment dei dipendenti;
  • nella capacità dell’azienda di attrarre profili qualificati e di fidelizzare le risorse umane considerate strategiche; di migliorare le performance anche in virtù dell’inclusione delle diversità (di genere, di orientamento sessuale, di origini etniche, di cultura, di abilità fisiche, ecc.) che contribuisce all’innovazione e al cambiamento.

Perché l’investimento in conciliabilità sviluppi tutti i vantaggi ora delineati, occorre tenere conto di due passaggi propedeutici fondamentali: procedere dapprima alla sensibilizzazione e formazione delle diverse funzioni aziendali e, successivamente, a un’approfondita analisi dei bisogni della forza lavoro.

Quali soluzioni?

In ambito aziendale si possono individuare almeno quattro principali aree di intervento a sostegno della conciliabilità:

  • Misure che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro: part-time; job sharing; flessibilità giornaliera in entrata e in uscita; esenzione dai turni (diurno/notturno); flessibilità su base annua e banca delle ore; turni flessibili, orari personalizzati; telelavoro; aspettative e permessi; congedi di maternità e parentali (estensione rispetto alle leggi).
  • Congedi parentali, familiari e formativi al cui interno sono presenti tutti gli interventi attuati per una corretta gestione delle assenze anche prolungate dal lavoro.
  • Risorse e servizi per la custodia dei figli e/o l’assistenza di famigliari non autosufficienti, vale a dire misure di supporto (servizi) che liberano tempo per la cura dei membri della famiglia e consulenza per la conciliazione per problemi familiari; iniziative per appoggiare finanziariamente i/le dipendenti (integrazione all’indennità di maternità e  congedo  parentale;  indennità  per  nascite,  per  i  figli  disabili,  sostegno dei costi dei servizi di asilo nido, baby-sitting, assistenza per anziani e handicappati; borse di studio per i figli; prestiti, indennità trasloco, ecc.)
  • Innovazioni nella cultura di impresa in cui rientrano le misure che portano ad un cambiamento nel fare impresa. Sono qui ricomprese anche quelle misure per supportare  il  rientro  dalla  maternità/paternità,  per  creare  una  diversa cultura della conciliazione, per non penalizzare le carriere, ma al contrario valorizzare le  competenze (supporto,  formazione  e  aggiornamento  al  rientro  da  un  congedo; mentoring  sulle  carriere  in  relazione  alle  responsabilità  di  cura;  creazione  di  una figura,  all’interno  della  direzione  del  personale,  di  coordinatore  di  conciliazione lavoro-famiglia; informazione dell’azienda nei confronti di chi è in congedo).
Cos’è il congedo maternità?

Dal 1° luglio 2005 è stato introdotto per tutte le lavoratrici in Svizzera il congedo maternità, basato sul sistema dell’indennità per perdita di guadagno (IPG), lo stesso sistema utilizzato per compensare la perdita di guadagno derivante dallo svolgimento del servizio militare.
Il congedo maternità è regolato nella Legge federale del 25 settembre 1952 sulle indennità di perdita di guadagno per chi presta servizio e in caso di maternità (Legge sulle indennità di perdita di guadagno, LIPG). Tale sistema esclude però le donne che non esercitano un’attività lucrativa.
Le donne salariate hanno diritto all’80% del salario medio percepito prima del parto. Le donne indipendenti hanno anch’esse diritto all’80% del redito medio annuo.
L’indennità di maternità è versata come indennità giornaliera, ma al massimo Fr. 196.– al giorno. L’indennità giornaliera massima è versata a chi consegue un salario mensile di 7’350 franchi (7’350 x 0,8 / 30 giorni = 196 franchi al giorno) o, nel caso di una lavoratrice indipendente, un reddito annuo di Fr. 88 200.– (88’200 x 0,8 / 360 giorni = 196 franchi al giorno).
La madre ha diritto all’indennità di maternità a partire dal giorno del parto. L’indennità viene versata durante 14 settimane, ossia 98 giorni. Se la madre riprende a lavorare prima della scadenza delle 14 settimane, anche solo parzialmente, non avrà più alcun diritto all’indennità. Non è quindi possibile interrompere il congedo maternità e riprenderlo in seguito.